Con una conversazione su Calvino linguista, del quale quest’anno ricorre il centenario della nascita, il prof. Massimo Arcangeli ha inaugurato l’anno sociale dell’associazione “Gli Amici della Dante”
“L’ultimo, o quasi l’ultimo, intellettuale che tratta la lingua come questione linguistica” ha detto Arcangeli, parlando di Calvino, “dopo di lui diventerà una questione sociale” e cita Don Milani, del quale, coincidenza, ricorre il centenario della nascita.
Don Milani ha fondato la scuola di Bibiana in una frazione della città di Firenze, per i poveri e per coloro che più avevano bisogno di essere aiutati.

Arcangeli cita anche Gramsci, il quale pone un’altra questione sulla lingua. Per Gramsci la letteratura non era mai stata popolare dichiarandosi un Antimanzoniano: egli non sopportava che Manzoni, dall’alto della sua posizione d’intellettuale e di scrittore importante, trovava come unico modello di lingua per la sua massima opera, quello del fiorentino parlato dalle persone colte.
Parlando su Calvino, il relatore si rifà ,inizialmente, al periodo degli anni ‘60, quando Pasolini, nel 1964, su un settimanale comunista “Rinascita”, scriveva un articolo noto nel quale sosteneva che se fino al giorno prima non esisteva un italiano che si poteva definire unitario, in quel momento c’era: l’italiano aziendale, l’italiano industriale che si realizzava nel nord del nostro paese e coinvolgeva l’asse Milano-Torino. A questo articolo seguirono una valanga di critiche, tra cui quella di Calvino, peraltro giustificate, a cui si aggiungerà nel 1976 quella dello stesso Pasolini.
Calvino, nello stesso anno, iniziava la riflessione sulla lingua: quale poteva essere la lingua migliore da diffondere e, soprattutto, quale lingua nemica, invece, bisognava individuare per far sì che la lingua positiva poteva diffondersi. E cominciava a profilarsi quella che lui avrebbe chiamato anti lingua. Il relatore fornisce un esempio di questa anti lingua, leggendo un passo, scritto da Calvino, contenente la dichiarazione di un testimone, magari anche presunto responsabile, di un furto, e la trascrizione della stessa di un brigadiere. Il testimone usa un linguaggio comune, trascrivibile in tre righe, il brigadiere trascrivendo la testimonianza usa un linguaggio burocratico che riempiono undici righe. Calvino in questo modo mette in chiaro la distanza tra il povero cittadino comune e l’ esponente di una burocrazia impietosa. Purtroppo il relatore aggiunge che questa lingua oggi non è defunta, perdura nel suo inarrestabile sforzo di divisione nella burocrazia. Questa lingua era definita da Calvino antilingua perché in essa i significati sono allontanati e posti in fondo ad una prospettiva di vocaboli che di per sé non vogliono dire niente. E in fondo, continua Calvino, usando l’antilingua proprio chi non ha un vero rapporto con la vita, uccide la lingua perché non vive.
In conclusione Arcangeli prova a dire dove stiamo andando, dove sta andando l’italiano e prova a rispondere alle sollecitazioni di Calvino ponendo l’attenzione su tre considerazioni:
– sta morendo l’italiano?
– l’italiano diventato una lingua strumentalmente moderna come la intendeva Calvino?
– ce la farà ad essere una lingua strumentalmente moderna dato che non lo è ancora?
Egli parte dall’osservazione che tutti viviamo immersi in una comunità molto fluida nella quale ognuno, quando si parla di lingua, rivendica qualcosa per sé. Quindi l’italiano è una lingua ormai funzionale perché ognuno possiede i registri giusti per poterla rendere efficace in qualunque situazione. É una lingua viva, altro che morta perché, anche se dovessero arrivare migliaia di parole o di espressioni inglesi, tutto ciò non cambierebbe la parte principale: non è il lessico che fa una lingua, sono le strutture grammaticali. Noi viviamo in un momento in cui la lingua non sta morendo, ma si sta trasformando. É la questione centrale: o si trasforma all’insegna di un antidoto, di una polarizzazione degli opposti estremismi o non se ne esce indenni.
E come frase finale il relatore non può far altro che ricordare quanto la cultura, in questo processo di conservazione e rinnovamento della lingua, abbia un ruolo determinante, in quanto cultura vuol dire anche responsabilità, senso civico, partecipazione, condivisione, rispetto, vuol dire tutto ciò che ci rende una comunità vera, grande o piccola che sia.
(foto: Franca Carpinteri, Isabella Meloni e Maria A. tribulato con Massimo Arcangeli)
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